Se mi guardo intorno e rifletto sulle persone che ho conosciuto in questi lunghi anni di detenzione, viene fuori una percentuale altissima di detenuti con un livello culturale basso.
Cultura! Io rientro tra chi non ne conosceva nemmeno l’esistenza e non riflettevo certo sul suo significato. Se fossi nato molto tempo prima sarebbe forse stato quasi normale, vista la scarsità dei mezzi di apprendimento. Adesso, invece, comprendo che non conoscere il significato di cultura equivale a non sapere molte cose della vita, a maggior ragione per chi come me è nato e cresciuto nelle generazioni più recenti. Vivevo in una dimensione limitata: da ragazzino vedevo la scuola e quindi lo studio come un’esperienza noiosa e di conseguenza non attribuivo ad essi il valore che meritavano.
Vengo arrestato giovanissimo, con il titolo di studio di licenza media, ottenuta tra l’altro senza troppo impegno. Mi sono ritrovato ristretto con una pena che superava di un terzo la mia età anagrafica. Solo dopo diversi anni che ero dentro, sono stato trasferito nel penitenziario di Rebibbia. La prima cosa che da subito catturò la mia attenzione qui, era il numero di “ristretti” che trascorreva e trascorre il proprio tempo studiando. Quindi anche quando si parlava non si faceva che parlare di studio. Questa era per me una novità, che quasi non riuscivo a comprendere, perché dal mio primo arresto avevo girato diversi istituti di pena ma nel complesso la mia concezione di carcere non si allontanava di molto da quella di una fabbrica del crimine: credevo che ognuno di noi, dalla propria esperienza carceraria non potesse che uscirne più criminale di quel che era stato entrandovi.
Decisi di iscrivermi alla scuola media superiore. Più passavano gli anni di scuola, più restavo affascinato da questo nuovo mondo, fino a quel momento a me del tutto sconosciuto. Mi diplomai con un buon voto: 90/100. Appena diplomato, passai subito all’università, oggi sono al terzo anno e ogni esame che preparo si rivela molto significativo, tra gli argomenti e i grandi autori che maggiormente mi hanno colpito: Giacomo Leopardi con il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, I Malavoglia di Verga e lo spirito di sacrificio presente in molti dei suoi personaggi. II Fanciullino di Pascoli, quell’innocenza che noi persone adulte non abbiamo più. Delle poesie di Carlo Michelstaedter, La Persuasione e la Rettorica, I figli del mare e La donna del mare. E ancora i grandi filosofi come Thomas Hobbes e John Locke, grazie ai quali ho allargato ancora di più l’orizzonte del mio sapere.
Tante delle opere letterarie trattano argomenti riguardanti la vita reale, di tutti i giorni, le difficoltà che si incontrano. Offrono uno sguardo positivo sulle cose della vita che non vanno dimenticate. Proprio attraverso la conoscenza, frutto di questi anni di studio, la mia mente si è aperta e ho avuto la possibilità di vedere oltre l’apparenza. Gli studi mi hanno permesso di capire chi siamo, da dove veniamo e chi possiamo essere. Mi hanno insegnato i valori della vita, la riflessione, la temperanza. La conoscenza acquisita attraverso lo studio e la presenza costante dei prof., che ci accompagnano in questo percorso, ha fatto sì che realmente diventassi una persona diversa da quella che sono stato. II carcere è il ritrovo di tantissime persone che per scelta o per circostanze non hanno mai avuto un approccio serio alla cultura e allo studio.
Con la consapevolezza di oggi posso dire che lo studio deve essere la base per la formazione di ogni uomo, per questo è di primaria importanza che negli istituti di pena ci sia la possibilità di studiare, dalle scuole elementari all’università. Purtroppo, soprattutto al sud in diversi contesti sociali, non esiste la consapevolezza dell’importanza della scuola, come lo è stato anche per me prima di intraprendere questo percorso.
È lo studio che garantisce qualche possibilità di ascesa sociale, è questo che dico ai miei nipoti quando parliamo dell’importanza di costruirsi una vita dignitosa un domani. Lo studio è lo strumento che rende un uomo pari a qualsiasi altro, anche se si occupano ruoli diversi nella società.
Oggi ritengo che il carcere non sia solo fabbrica del crimine, ma possa essere anche un’officina di riparazione, concetto molto caro anche ad un’amica che mi ha incoraggiato ad intraprendere questo percorso. Grazie ai professori che hanno messo la loro professione a disposizione di tante persone come me, ristrette nei vari istituti di pena.
di Mario Falanga